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11 – Genova

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Alfred de Musset, Ritratto di George Sand, 1833
Josef Kriehuher,
Lorenzo Salvi, 1839
Olof Johan Sodermark,
Marie-Henri Beyle, detto Stendhal, 1840
Anonimo,
Gian Carlo di Negro, s.d.
Nicolas-Mari-Joseph Chapuy,
Panorama di Genova dalla Loggia di levante del Palazzo del Principe, 1828-1848

«Quello che ho visto di più italiano in Italia è Genova»

Stendhal, Mèmoires d’un Touriste, Parigi, 1839

Cosa l’aveva colpito a Genova per apparirgli la più italiana delle città visitate fino a quel momento (Milano, Como, Verona Padova, Venezia)? Ciò che emerge dalla descrizione della città è un’idea di luminosità derivante da diversi fattori: entrando a Genova, scrive Liszt, si rimane «abbagliati» dal prestigio sempre vivo della sua passata grandezza […] le sale sono «risplendenti di dorature» […] «sotto questo cielo sempre sereno» […] «questo eterno sorriso della natura»; a sera «è la volta delle luminarie, dei fuochi d’artificio, dei pali trasparenti» e «migliaia di lucciole […] tracciano i loro fantastici e scintillanti arabeschi». Espressioni simili compaiono nelle descrizioni del lago di Como e a Bellagio; dunque ciò che lo colpisce a Genova è una luminosità riflessa dall’acqua, forse vista come carattere tipico della penisola, tutta protesa sul mare. Dunque Genova sarebbe la città più italiana, perché la più luminosa della luminosa Italia! Ma leggendo quella prima frase la memoria va anche alla storia di Genova, una storia repubblicana, per secoli autonoma, mai papalina, mai totalmente sottomessa nonostante gli assedi e le temporali invasioni di francesi, di austriaci e perfino di inglesi. Genova italiana, prima ancora che esistesse l’Italia come entità politica. I nostri due pellegrini sostano spesso al Caffé della Concordia, frequentato da francesi esiliati per i moti rivoluzionari del ‘30 e da italiani avversi al regime asburgico.


Charles Landelle (1821–1908), Ritratto di Alfred de Musset. Olio su tela, 1874, copia di un dipinto del 1854

Questo caffè era stato tappa prediletta di George Sand nel suo viaggio in Italia con De Musset. Per ciò che riguarda la musica la visita si colloca nella «cattiva stagione», in quanto durante l’estate i teatri hanno un’attività molto ridotta. Però, per la vigilia di San Giovanni, il 24 giugno, l’alta società si ritrova a teatro, dove in quell’anno poté assistere ad una recita di Lucia di Lammermoor. Franz – ci racconta Marie – s’appassiona per la voce e l’interpretazione scenica del tenore Lorenzo Salvi allora nel pieno splendore delle sue qualità artistiche. Nelle pause del soddisfacente spettacolo, i nostri turisti, incontrano due amici: Teresa Visconti d’Aragona sorellastra della principessa Cristina di Belgiojoso e suo marito Charles François Armand. Non sembra un incontro casuale ma un altro indizio che fa pensare ad un risvolto politico del soggiorno di Liszt a Genova.

Anonimo, Charles-François-Armand de Bancalis de Maurel d’Aragon, litografia, 1845 ca. Marito di Teresa Visconti d’Aragona, sorellastra della principessa Cristina di Belgiojoso, fu uno degli incontri genovesi di Liszt

Altra “coincidenza” abbastanza strana è la meta scelta da Liszt dopo Genova: Lugano, città italiana oltre i confini, altra città bagnata dalle acque, dove il referente fu Giovanni Grillenzoni, nobile modenese rifugiatosi in Svizzera essendo stata scoperta la sua partecipazione alla cospirazione carbonara, con conseguente condanna a morte in contumacia. Per quale motivo i due amanti decidono di visitare Genova e vi si fermano per circa un mese? Liszt nel suo scritto racconta che aveva una lettera di raccomandazione per il «dilettante appassionato» marchese Di Negro, che egli descrive in modo divertente come prototipo del «dilettante di professione, il Mecenate delle semicrome, il filarmonista senza pietà […] la mosca infaticabile del cocchio o del carro di Apollo», eppure si presenta a casa sua appena due giorni prima della partenza. Anche Stendhal aveva citato la Villetta Di Negro per la bellezza del suo giardino e per la cordiale ospitalità del padrone di casa nelle sue Mémoire d’un touriste, pubblicate in quello stesso 1838 in cui Liszt visitò la città. Nel suo diario Marie riferisce che il 10 luglio Liszt ha suonato a Palazzo Mari di fronte ad una «società elegante» e aggiunge «Attenzione religiosa. Stupore» e precisa il programma: prima de L’Orgia, trascrizione da Rossini, e prima delle variazioni su brani di Thalberg, Chopin e Herz, come brano di apertura Liszt suona la sua fantasia da I puritani di Bellini, ossia la sua “carta da visita” patriottica «Suoni la tromba e intrepido». Si può immaginare che a quelle note vibrassero i cuori di alcuni dei presenti, un gruppo di nobili impegnati nella lotta per la libertà della regione da qualsiasi dominio straniero, e forse anche quello della stessa giovane Mlle Pallavicini, di cui Marie descrive il rapimento commosso nell’udire la musica di Liszt.

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