Bologna e la musica al tempo di Franz Liszt – 3 – I concerti

Liszt è un genio, grande come lo fu la Malibran, grande come lo è Paganini, e il Cembalo sotto di lui gli acquista facoltà che niuno gli avrebbe fin qui credute. Le armonie che su questo strumento egli ha saputo trovare son così nuove che l’animo si empie di stupore ascoltandolo, e nell’inenarrabile facondia sua lo accompagna fremente ora ai cupi suoni che estrae, e che immaginar ti fanno le sue nebbie del Nord.

Teatri, Arti e Letteratura, Bologna, 3 gennaio 1839


La sera dell’arrivo (il 23 dicembre) «cena in famiglia», ossia a casa Sampieri, il che lascia supporre che Liszt fosse stato ospitato in qualche stanza del Palazzo dietro alla Mercanzia. La descrizione che Liszt fa dei suoi ospiti in un momento di vita famigliare è molto divertente e vale la pena riportarla integralmente:

La Marchesa è spagnola. Ha 38 anni e ha i baffi. Detesta Sampieri, parla poco e con un certo sussiego. Suo zio, il cardinal Gregorio, è il gran penitenziere del Papa […]. Leggera disputa coniugale. Il marito buono, la moglie altera.

La marchesa Sampieri, al secolo Anna de Gregorio, seppure italiana di famiglia, era effettivamente nata in Spagna ed era stata dama di corte dell’Infanta. La lettera prosegue regalandoci altri quadretti di vita privata: la mattina seguente – vigilia di Natale – Liszt si reca a casa Rossini in Strada Maggiore 26; i due amici vanno a fare colazione al caffé e Liszt è colpito dal modo cordiale con cui Rossini chiacchiera con bottegai e mendicanti che incontra per strada: «Homme singulier! Homme prodigieux!». A mezzogiorno Rossini lo conduce al Casino sito nel palazzo Salina Amorini Bolognini, piazza S. Stefano 11, e lo lascia lavorare tranquillo per un paio d’ore. Alle due del pomeriggio ritorna da lui insieme ai principi Hercolani (lui di 27 e lei di 20 anni, «molto semplici e graziosi») e al pianista Müller, che dà a Liszt l’impressione di avere qualche prevenzione nei suoi confronti. Ma poi i due si mettono a chiacchierare e Liszt gli suona il suo Studio in La bemolle.
Questa notizia è interessante: mentre nei concerti pubblici dati a Bologna – ed anche nelle altre città italiane fino a quel momento – Liszt suona soltanto parafrasi e fantasie su temi d’altri musicisti, ben sapendo essere il genere più amato dal largo pubblico e più disposto a mettere in mostra le sue qualità di virtuoso della tastiera, ad un “collega” Liszt suona una sua composizione di prima mano, e per di più nel genere degli Studi, generalmente considerati brani scolastici, scritti con l’obiettivo di far superare all’allievo qualche difficoltà tecnica piuttosto che esporre idee musicali autonome.

Alle 4 del pomeriggio Liszt rientra e impiega due ore a scrivere agli editori Schlesinger, Ricordi, Schonenberger e Coks. A quei tempi, quando al di là della conversazione diretta la posta era l’unico mezzo di comunicazione, tutti scrivevano moltissime lettere, e Liszt in particolare fu un corrispondente molto prolifico. Dà notizie a Marie sulla sua corrispondenza per farle sapere (e così veniamo a saperlo anche noi!) che oltre ad esibirsi come pianista, egli teneva molto ad essere riconosciuto come compositore, dunque si impegnava nella diffusione delle sue opere, sia per farsi conoscere attraverso di esse, sia per procurarsi il denaro necessario ad un ménage che diveniva sempre più pesante.


Rossini interrompe il lavoro di Liszt alle 18 per condurlo a casa sua, dove s’intrattengono in piacevoli conversari con la compagna del musicista (che Liszt un poco ironicamente non sa se chiamare “Signora” o “Signorina”) Olimpia Pélissier, fino al momento di andare a cena dal marchese Sampieri, dove è predisposta la “cena della vigilia” con una ventina di invitati. La serata si protrae fino alle 4 del mattino.

La lunga veglia non impedisce a Liszt di recarsi presto al Casino per lavorare; e buon per lui, perché i principi Hercolani e il pianista Müller lo interrompono e lo intrattengono in conversari per tre ore!

Tornato a casa, Liszt confessa a Marie che la festa di Natale lo rattrista e che la lettura di un articolo di Quinet su un recente libro di David Friedrich Strauss, La vita di Gesù, lo ha fatto riflettere sulla più grande verità della nostra religione, lasciandolo pieno di dubbi.

Con la capacità tutta musicale di collegare i pensieri apparentemente più disparati, Liszt osserva con altrettanta tristezza che anche Marie e le loro due figlie Blandine e Cosima sono nate in dicembre…

Al concerto al Casino (che ebbe luogo, come si è detto, la sera di Natale) oltre alle persone e agli artisti citati da Liszt nelle lettere a Marie d’Agoult, possiamo presumere che fossero presenti alcuni dei membri della direzione del Casino in carica dal 1° luglio 1838: il vicepresidente conte Filippo Agucchi, gli ispettori marchese Annibale Banzi e Tommaso Facchini, Carlo Parmeggiani, Giovanni Valdem, il conte Annibale Ranuzzi, il marchese Giovanni Mazzacurati, il tesoriere Giuseppe Gozzadini, i revisori dei conti Onofrio Rossi, Carlo Berti Pichat, Pietro Pancaldi, i membri della commissione per il gabinetto letterario marchese Lodovico Amorini, gli avvocati Vincenzo Piana e Francesco Pianesani, il direttore della poesia marchese Gerolamo Zappi, il direttore del ballo conte Carlo Antonio Montanari, i segretari Cesare Stagni e Pietro Venturi. Oltre a questi si può presumere che possano essere stati presenti alcuni dei nuovi soci ammessi tra il 1835 e il 1838, nominati più sopra. Non sappiamo quante persone potesse ospitare la sala del Casino, ma una stampa dell’epoca riproduce un locale lussuoso e molto capiente.

Nella corrispondenza lisztiana il concerto è descritto con poche frasi lapidarie: «Successo inaudito dopo quello della Malibran, e più completo perfino di quello della Malibran. Non ho fatto nessuna conoscenza femminile». Liszt è riaccompagnato a casa dal Müller che resta a chiacchierare con lui fino all’una e mezza. Purtroppo non ci sono pervenuti giudizi della stampa locale su questo concerto, soltanto un articolo rimasto manoscritto ed oggi conservato nell’archivio della Società del Casino. Questa fonte sembra parafrasare i secchi giudizi di Liszt, perfino nel riferimento al concerto della Malibran, ma al lettore di oggi entrambi possono apparire poco sinceri, o quanto meno alquanto esagerati. Prima di tutto appare strano che dopo un tale successo Liszt resti solo con il pianista Müller che lo riaccompagna a casa. Le feste dopo-concerto sono famose nella biografia di Liszt e degli altri grandi pianisti dell’epoca. Ed anche la lettura del programma lascia perplessi. È vero che a quel tempo la prassi del recital pianistico non era ancora stata inventata (lo avrebbe fatto proprio Liszt di lì a poco!), ma la presenza di un artista ospite all’interno di un’Accademia era di solito messa in rilievo in modo più vistoso di quanto non accada nel primo concerto bolognese. Inoltre la nota che tre delle cantatrici si presentavano al pubblico per la prima volta abbassa ulteriormente il tono della serata.

Lo “abbassa” in rapporto a cosa, allo standard delle altre città italiane o della stessa Bologna? Da una panoramica a volo d’uccello sulla musica in Italia nella prima metà dell’Ottocento appare che i teatri italiani di primo livello erano Scala di Milano, Fenice di Venezia e San Carlo di Napoli. Bologna godette di un particolare prestigio musicale durante la dominazione francese e la prima Restaurazione grazie anche alla presenza di numerosi altri teatri dalla vivacissima attività musicale e teatrale, dal Teatro del Corso al Contavalli, senza contare quella di numerosi teatri privati come il Teatro Loup e l’Hercolani.

Luigi Loup

Luigi Loup

Stendhal nel 1817 aveva definito Bologna «quartier generale della musica in Italia». Ma dopo i moti del ’31 si assistette ad un declino generale, che, per fortuna, dal punto di vista musicale, venne temperato dalla decisione di Rossini di eleggerla a sua residenza privilegiata. Tuttavia né il Teatro Comunale né gli altri teatri ospitarono attese premières o interpreti famosi: le apparizioni della Malibran e della Pasta negli anni Trenta sono rarissime e bisogna attendere il 1867 per assistere ad un “prima” importante: il Don Carlo di Verdi. L’attività dei teatri e le Accademie nei palazzi nobiliari, nei circoli culturali e nelle associazioni amatoriali era rivolta al pubblico cittadino di cui rispecchiava il gusto e i caratteri. Ma se è vero che nel panorama bolognese mancano le vette che si ammirano anche da lontano è altrettanto fuori di dubbio che la media degli spettacoli – in ragione sia della qualità sia della varietà – risulta più che decorosa e a periodi assai alta. Forse proprio a causa della mancanza di una corte e quindi di un forte potere centrale sui fatti dell’arte, forse proprio grazie al decentramento di istituzioni e luoghi di ritrovo fu possibile ai bolognesi scegliere in un ventaglio di proposte molto ampio e differenziato. Bologna non fu, come furono Firenze, Venezia, Ferrara o Mantova, culla di movimenti innovatori, di proposte artistico-culturali volte al futuro, anzi il carattere per cui più a lungo brillò fu quello di depositaria autorevole delle più antiche tradizioni, un carattere non legato a momenti o a persone particolari quanto piuttosto ad una scuola che, dal suo riconosciuto fondatore padre Martini, perpetuò per tutto l’Ottocento il culto dello stile classico come principio compositivo basato sul contrappunto rigoroso, quel principio nobile e austero noto nel mondo musicale come il Palestrinastil.

Il parere di Liszt sullo Stato della musica in Italia, come egli lo descrive sulle pagine della Revue et Gazette Musicale de Paris, è assai critico su tutto il panorama delle grandi città da lui visitate fra il ’37 e il ’39; e non c’è da meravigliarsene dal momento che egli non descrive quello che vi trova, bensì quello che invano desidera trovarvi, ossia una forte presenza di musica strumentale: «In nessuna delle città italiane che ho visitato esiste un gruppo d’artisti che sappiano o vogliano eseguire le opere sinfoniche dei maestri. La musica per quartetto è del tutto trascurata [gli unici brani strumentali che si possono ascoltare sono le Ouvertures delle opere] più che per metà soffocate dal rumore delle conversazioni». Nella latitanza dei generi strumentali, brani d’opera affidati a cantori con accompagnamento di pianoforte costituiscono il repertorio più diffuso di accademie pubbliche e private. Quando poi il pianista si affranca dal ruolo di accompagnatore e si esibisce da solista, sono ancora le melodie dell’opera a muovere le sue dita sulla tastiera.
Dal punto di vista del programma, dunque, il concerto di Liszt al Casino dei Nobili rientra pienamente nei canoni della prassi non solo cittadina, ma nazionale. E forse ha ragione Liszt quando riferisce a Marie che si è trattato di un successo, se è vero che ne è giunto l’eco perfino nella lontana Germania, dove si trova il redattore dell’Allgemeine Musikalische Zeitung che da Lipsia dà un rapido resoconto delle quattro accademie tenutesi al Casino nel dicembre ’38, indi prosegue:

Ma chi riuscì col suo pianoforte a far grande scalpore e a scatenare entusiastici applausi fu l’ospite Liszt, paragonato nientemeno che a Paganini. Un giornale del luogo arrivò perfino a lodare i suoi “cupi suoni che immaginar ti fanno le sue nebbie del Nord!” .

Un lettore malizioso potrebbe però pensare che quei «cupi suoni» più che una scelta interpretativa fossero dovuti a difetti del pianoforte Pleyel su cui aveva dovuto suonare. Lo strumento era stato imprestato per l’occasione da una Dama non meglio identificata, e passava per essere uno dei migliori usciti dalla famosa fabbrica parigina. Ma Liszt, forse per via della sua propensione per il suono degli Erard, in una lettera a Marie lo giudica «sordo da fare paura» e per il secondo concerto prega il principe Hercolani di prestargli il suo Streicher viennese che gli piaceva «enormemente di più». L’aveva provato la sera del 27 dicembre durante una cena con musica nel Palazzo di Strada Maggiore. In casa Sampieri, durante la grande cena del 28, probabilmente suonò di nuovo un Pleyel, vista la predilezione del Marchese per questo strumento, del resto molto amato anche da Rossini. Così dopo laute cene, lunghi conversari ed esibizioni private nei palazzi più “musicali” della città, Liszt giunge alla sera del 29, alla sua “personale” Accademia alla Sala Sampieri non come un ospite di passaggio, ma come un personaggio di grande levatura, perfettamente integrato nel tessuto dell’aristocrazia musicale cittadina. E di nuovo il giornale tedesco chiosa l’evento: «Nel locale del nominato Sampieri, Liszt si esibì da par suo nella sua propria Accademia, dove suonò tre pezzi di sua composizione e fece applaudire il pubblico con grande convinzione». Per questo concerto ci sono giunte notizie anche dalla stampa locale. In particolare Il Solerte gli dedica un articolo molto dettagliato, nel quale l’autore, oltre ad osannare le doti interpretative del protagonista, trova modo di osservare che «il talento di Liszt quale compositore si può dire eminentemente plastico o in altri termini che l’artistica di lui individualità si spiega in particolar modo nella ricchezza della forma».

A proposito della partenza di Liszt da Bologna abbiamo ancora una volta testimonianze controverse: Marie d’Agoult scrive nel suo diario che Franz è arrivato a Firenze il 1° gennaio a mezzogiorno, ma proprio in quel giorno Liszt presenta la sua domanda d’ammissione all’Accademia Filarmonica, ed anche il giornale di Lipsia sposta un poco in avanti la sua partenza.

Questo dettaglio non cambia nulla nella storia fra Liszt e la nostra città. Bologna nella sua fantasia continua a vivere per moltissimi anni nel nome di Rossini e di Santa Cecilia.

(R.D.)

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