Bologna e la musica al tempo di Franz Liszt – 1 – Ottobre 1838

OTTOBRE 1838

Eccomi dunque al colmo dei miei dolori e dei miei onori… Non potrò mettermi in viaggio che domenica… lunedì mattina sarò a Bologna… Ho avuto l’onore di farmi ascoltare al Catajo davanti alle loro Maestà, l’Imperatore e l’Imperatrice… Il bello, in questo paese privilegiato, mi appariva sotto le forme più sublimi… Raffaello e Michelangelo mi facevano meglio comprendere Mozart e Beethoven… La Santa Cecilia di Raffaello è il simbolo della musica al più alto grado…

Franz Liszt a Marie D’Agoult dal castello del Catajo


La storia dei rapporti fra Franz Liszt e Bologna (intesa sia come città sia, soprattutto, come ambiente culturale) ha radici profonde e si dirama in numerose vicende, anche se di fatto Liszt visitò Bologna soltanto in due occasioni e per pochi giorni nell’ottobre e nel dicembre 1838.

La decisione di inserire Bologna nel numero delle città italiane da visitare, non per ragioni concertistiche, ma come tappa del “viaggio in Italia” con la sua compagna, la contessa Marie d’Agoult, è presa a Milano nel febbraio 1838:

Forse andrò a fargli una visita questa estate a Bologna, dove egli [Rossini] tornerà all’inizio di aprile e si fermerà per tutta l’estate. Quanto a me, partirò per Venezia a metà marzo. Di là a Bologna, Firenze, Genova… [Lettera al violinista belga Lambert Massart].

Ma avvenimenti importanti si frapposero al primitivo piano così che Liszt arrivò a Bologna soltanto agli inizi di ottobre.

L’amicizia fra Rossini e Liszt è una storia bellissima che inizia a Vienna nel 1822, quando nel salotto dell’austero principe Metternich, il fanciullo undicenne viene presentato all’astro dell’opera italiana allora nel pieno del suo fulgore.

Illustre e caro Maestro. […] sono trascosi più di 40 anni da quando a Vienna, presso il Principe Metternich mi trovai per la prima volta sul vostro passaggio. Il mondo acclamava in voi con trasporto il moderno Apollo. [Roma, 28 giugno 1866].


Dopo quel primo incontro le relazioni fra i due musicisti continuarono a Parigi, nei salotti di aristocratici e banchieri che “facevano tendenza” e nella soffitta del Théâtre Italien, dove Rossini aveva preso alloggio dal 1830 al 1835. Rimangono numerose testimonianze anche dei loro incontri a Milano, dove il 12 aprile 1834 i due musicisti suonarono in duo ad un concerto e dove spesso s’incontrarono nell’inverno 1837-38, a ridosso delle visite bolognesi.
Si sa che Liszt assistette alla prima del Guillaume Tell a Parigi, al Théâtre de l’Académie Royale de Musique il 3 agosto 1829 e che ne trasse una brillante Fantasia, brano che appare con grande frequenza nei concerti degli anni successivi, insieme alle Fantasie su temi di un’altra composizione di Rossini, le Soirées musicales.

Anche a Bologna il Guglielmo Tell diventa subito simbolo dell’indipendenza di un popolo e perciò può venire eseguito per anni solo parzialmente e in una semiclandestinità. Quando finalmente approda in versione completa sulle scene del Teatro Comunale (siamo nel 1840) deve venire modificato nei contenuti: il titolo diventa Rodolfo di Sterlinga, e la vicenda, originariamente ispirata alla lotta per la libertà degli svizzeri contro gli Asburgo, viene trasformata nelle più “neutre” lotte tra inglesi e scozzesi del 1298.

Le visite di Liszt a Bologna si collocano in un periodo intermedio della vicenda artistica e umana del musicista, nell’epoca in cui egli è ancora molto legato alla sua compagna (dalla quale avrà il terzo figlio, Daniel, dopo pochi mesi dalle visite bolognesi), è ancora e più che mai attratto dalle bellezze artistiche, letterarie e naturali dell’Italia ma è al contempo sensibile alla vastità di esperienze che la vita concertistica gli offre.

Proprio poco prima della visita a Bologna, Liszt aveva respirato a pieni polmoni l’aria delle alte vette del concertismo internazionale. A Vienna, nell’aprile-maggio di quell’anno, la stampa e il pubblico lo avevano accolto con un calore ed un’adesione affettiva ed estetica cui non sarebbe stato possibile rimanere indifferenti. Liszt stesso ricorda spesso questa tournée, ma nelle testimonianze di prima mano si cercherebbe invano la verità sui dettagli di quel memorabile viaggio: quando scrive, come quando suona e perfino quando compone, Liszt ama improvvisare, seguire i moti imprevedibili della sua fantasia, per cui le stesse circostanze ricevono luce diversa nei vari documenti. La tournée a Vienna, che segna un passaggio importante nella vita di Liszt e della coppia Liszt-D’Agoult ne è un esempio illuminante.

Nella lettera-aperta a Lambert Massart, scritta per essere pubblicata sulla Revue et Gazette Musicale de Paris del 2 settembre 1838, in un lungo post-scriptum Liszt afferma che aveva accettato l’invito di Tobias Hasslinger per fare a Vienna soltanto due concerti. Ma in un’altra lettera scritta poco prima di partire confessa che aveva fin dall’inizio deciso di fermarsi a Vienna fino alla fine del mese di aprile. In realtà si trattenne fino a metà maggio (per fare 12 concerti!) e avrebbe potuto rimanervi ancora più a lungo se non fosse stato chiamato d’urgenza al capezzale di Marie, ammalata (di nostalgia?), che si trovava a Venezia e non era preparata ad una lontananza così prolungata.
Il motivo primo della tournée viennese – un concerto a favore degli alluvionati di Budapest – non è un episodio straordinario: in tutta la sua lunga carriera Liszt aiutò spesso con i suoi concerti persone bisognose e non solo fra i suoi connazionali.

La deviazione verso Vienna rispetto al viaggio italiano trova eco anche sulla stampa bolognese: il 17 maggio 1838 nella rivista Teatri, Arti e Letteratura redatta da Gaetano Fiori (nascosto sotto la sigla X X), viene pubblicato un articolo dal titolo Accademie. Liszt e Thalberg, due grandi pianisti. Dopo le consuete frasi di cortesia per elogiare a turno l’uno e l’altro dei due pianisti, l’articolista si sofferma a parlare di Liszt come compositore, tema raramente toccato negli anni Trenta, tanto meno nella recensione di un concerto, e arriva ad affermare: «Le composizioni di Liszt hanno il vantaggio dell’originalità».
Alla metà di maggio è difficile supporre che il redattore volesse “preparare” la venuta di Liszt a Bologna, anzi è molto improbabile che fosse al corrente del progetto abbozzato da Liszt in primavera, per cui si deve ipotizzare che lo scopo dell’articolo fosse semplicemente quello di informare i lettori di un evento importante della vita musicale internazionale. Tuttavia, grazie anche a questo articolo, quando Liszt arrivò a Bologna non era certo uno sconosciuto. Da parte sua, c’è da credere che Liszt non vedesse nemmeno il giornale, poiché, avendo creduto alla fama delle roventi estati bolognesi, dopo la sosta veneziana si era trattenuto nel nord del paese (a Genova, a Lugano e a Milano) per poi scegliere di fermarsi tre mesi a Firenze, con Marie e le due figlie Blandine e Cosima.

La prima volta che Liszt visita Bologna vi arriva dal Veneto, poiché si trova, ancora una volta per un invito imprevisto, al castello del Catajo presso Padova, allora di proprietà del duca Francesco IV di Modena. In questo castello la famiglia Asburgo-Este aveva eletto la propria residenza (o meglio il proprio rifugio) durante il periodo della dominazione francese-napoleonica.

Ed anche qui il soggiorno si protrae più del previsto. Mentre Marie è già a Bologna dal 4 ottobre, Liszt le scrive che dopo aver suonato per Sua Altezza l’Elettrice di Baviera, Maria Luisa d’Austria-Bonaparte di Parma e gli Arciduchi Ferdinando e Massimiliano, aveva dovuto trattenersi ancora un giorno per esibirsi davanti alle loro Maestà l’Imperatore e l’Imperatrice, il Vice-Re e la Vice-Regina, e mentre tutti gli ospiti illustri erano partiti per Venezia, lui era costretto ad attendere la diligenza bisettimanale per Padova, per poi raggiungere Bologna, dove, in effetti, arrivò soltanto l’8 ottobre… Grandezza e dolori di un giovane famoso: «Me voici au bout de mes peines et de mes honneurs» [Incipit della lettera a Marie d’Agoult del 5 ottobre 1838 dal castello del Catajo].

Come mai Liszt accetta (ed anzi si sente onorato) di suonare davanti alle più alte teste coronate austriache? Cosa potevano pensarne i liberali bolognesi che nella Casa d’Austria vedevano i sostenitori del pesante potere papale che opprimeva la città?

Bologna nel 1838 era ancora in lotta per uscire dalla sofferenza politica, culturale e sociale causata dall’insuccesso dei “moti” del 1831. Cardinali legati a Bologna furono Ugo Spinola (nel 1835 e nuovamente dal 1841 al 1843) e Vincenzo Macchi (dal 1836 al 1841) che affrontarono, con opposti stili, le agitazioni politiche.

Ma gli oppositori al potere temporale della Chiesa e i loro ritrovi (circoli, caffè, botteghe…) erano tenuti sotto ferreo controllo dalla polizia ufficiale e da quella segreta e chiunque esprimesse in pubblico critiche più o meno aperte al Governo era strettamente sorvegliato e fatto oggetto di ritorsioni. Attorno al 1836 ci furono aspri tentativi da parte delle frange più reazionarie di cacciare i “liberali” dalle cariche pubbliche, tentativi talmente repressivi da essere sanzionati dallo stesso Cardinal Legato. La più evidente e dura conseguenza del fallimento dei moti del ’31 fu l’acquartieramento a Bologna di truppe austriache del reggimento Kinski che vi rimase fino all’estate del ‘38 e se ne partì dopo un’imponente cerimonia politico-musicale nella Piazza del Mercato (oggi Piazza VIII Agosto).

I moti di Bologna del 1831 sono passati alla storia come i quarantaquattro giorni (essendosi svolti tra il 4 febbraio e il 26 marzo). I principali protagonisti furono i membri della Commissione provvisoria che, alla fuga del Legato pontificio da Bologna, avevano dichiarato decaduto il governo temporale dei Papi sulla città: fra questi troviamo nomi che i bolognesi vedono ogni giorno sulle targhe delle loro vie (ed anche qui sulle pareti della mostra): Giovanni Vicini, Francesco Bevilacqua Ariosti, Francesco Orioli, Cesare Bianchetti, Antonio Silvani, Antonio Zanolini, Alessandro Agucchi, Carlo Pepoli.

Nel Libro dei compromessi politici la polizia pontificia annotò i nomi dei rivoltosi dei moti del ’21, del ’31 e di quanti negli anni seguenti furono sospettati di cospirare contro il governo della Chiesa. Oltre a quelli appena citati si trovano soprattutto nomi di appartenenti alle classi artigiane e professionali. Pochi percentualmente i nobili, tra i quali risaltano i nomi di Francesco Sampieri («Si vuole nel numero dei settari rivoluzionari e dei nemici del Governo, tanto nei 44 giorni, quanto nel tempo dell’anarchia diede sussidi a vantaggio del liberalismo») e della principessa Donna Maria Hercolani («Esaltatissima in ambedue le epoche. Nel di lei palazzo bene spesso vi furono, come tuttora vi sono, riunioni dei più esaltati liberali contrari al Governo. Ha essa contribuito per gli emigrati che trovansi bisognosi; dà parimenti sussidi a chi a lei si presenta purché sia della classe dei liberali, ed è delle contribuenti della Cassa rivoluzionaria per quanto ritiensi nell’opinione di molti»). Molti nomi di liberali figurano tra gli iscritti e tra gli appartenenti alla direzione della Società del Casino dei nobili, dove Liszt tenne il suo primo concerto bolognese. Tra il 1835 e il 1838 si assistette all’iscrizione di nuovi soci – alcuni esiliati inseriti come corrispondenti anche non quotizzanti – di area liberale. Tra questi Augusto Aglebert (fratellastro di Carlo Berti Pichat), Rodolfo Audinot, Francesco Rizzoli, il marchese Pietro Pietramellara, Filippo Martinelli, Marco Minghetti, il marchese Alessandro Guidotti, Raffaele Rossi, Carlo Rusconi, Luigi Loup, Carlo Gabussi, tutti personaggi che alcuni “zelanti”, schierati su posizioni particolarmente reazionarie, tentarono di allontanare dal Casino.

Molti protagonisti di questa stagione politica furono con molta probabilità presenti ai concerti di Liszt a Bologna. Il marchese Sampieri e sua moglie, che vedremo ben presto accanto a Liszt, benché coinvolti in modo molto esposto, essendo parenti dell’elemosiniere del Papa, ottennero il perdono governativo, mentre altri – come per esempio Carlo Pepoli, autore del libretto de I Puritani di Bellini – furono costretti a lunghi anni di esilio.


Nel 1836 Liszt aveva scritto la fantasia Réminiscences des Puritains, dedicata alla principessa Cristina di Belgiojoso che usava ospitare esuli italiani nel suo salotto sia a Milano sia a Parigi. Forse non è un caso se Liszt scelse di suonare questo pezzo a Bologna, come vedremo più avanti. Rossini e la sua prima moglie Isabella Colbran erano molto legati alle famiglie Hercolani e Sampieri; anch’essi simpatizzarono con i liberali ma, sebbene Isabella Colbran Rossini figurasse apertamente fra i finanziatori della rivolta del ’31, i loro nomi non apparvero nelle liste dei personaggi “compromessi”. Ma nel 1838, quando Liszt giunse a Bologna, la situazione era tutt’altro che chiara: molte famiglie vivevano situazioni di divisioni interne fra membri – e perfino fra fratelli – che militavano nei partiti avversi ed anche i principi Hercolani, che ospitarono Liszt nel loro palazzo di Strada Maggiore, avevano preso parte ai moti del ’21 e del ’31, eppure avevano stretti vincoli famigliari con la nobiltà austriaca.
D’altra parte i musicisti della banda del reggimento Kinski non disdegnavano di esibirsi in concerti tenuti in circoli “progressisti” come la Società del Casino, dove eseguirono perfino brani tratti dal Gugliemo Tell, opera particolarmente invisa alla censura papalina; inoltre al Teatro Comunale eseguivano tutti i brani in cui si prevedeva la banda in scena.
E infine, qualcosa più di un gossip: la moglie del marchese Sampieri (detta famigliarmente “la Sampireina”) non diversamente dalla nobile protagonista del romanzo di Ifigenia Zauli Saiani Clelia ossia Bologna nel 1833 pare avesse un legame affettivo con un ufficiale austriaco.

Come si può vedere, prima ancora che inizi la storia di Liszt a Bologna, l’ambiente che lo accolse si qualifica come élitario – intellettuale ed aristocratico – in buona parte schierato contro il dominio della Chiesa e quello dei loro sostenitori austriaci e raccolto attorno a qualche figura di spicco nella vita musicale della città e specialmente a Rossini e a Sampieri.

Gioacchino Rossimi e il marchese Francesco Sampieri furono legati da profonda amicizia fin dagli anni di studio e il loro sodalizio rivive in alcuni episodi particolarmente significativi: Rossini al Teatro Contavalli dirige un concerto a favore dell’impresa di Gioacchino Murat (1815) e mette in programma un Inno di Sampieri; nel 1817 i due musicisti tornando da Roma, dove avevano assistito alla rossiniana Cenerentola, a Spoleto vengono a sapere che si sta eseguendo l’Italiana in Algeri: recatisi in teatro, entrano in orchestra e prendono parte all’esecuzione – Rossini al contrabbasso e Sampieri al pianoforte – sotto lo sguardo allibito dei professori d’orchestra e del pubblico (così la cronaca). Rossini non mancò occasione per sostenere la carriera musicale dell’amico e le sue opere Oscar e Malvina (1816), Il Trionfo d’Emilia (1821), Valmiro e Zaida (1821), La foresta di Ostropol (1822), Gli Illinesi (1823), Pompeo in Siria (1825), mentre Francesco Sampieri fu il braccio armato con il quale Rossini estese la sua influenza musicale sulla città di Bologna.
Fare visita a Rossini – secondo il programma di Liszt – significava incontrare Sampieri e gli altri frequentatori e membri della Società del Casino, fra i quali spiccano i giovani principi Hercolani.

Ma la prima volta che Liszt visita Bologna, nell’ottobre del 1838, si comporta da semplice turista e va dritto alla Pinacoteca (allora chiamata Accademia) per vedere, insieme a Marie, i quadri dei Carracci, di Guido Reni e, soprattutto, la Santa Cecilia di Raffaello. In città sembra che nessuno venga a sapere di questa visita, così che nessuno può dirci dove avessero preso alloggio, quale parte della città (oltre il “varco” di Porta Galliera e via Belle Arti) visitarono e quanto tempo rimasero sotto le due torri. Le impressioni che ricevettero dalla visita alla Galleria sono contrastanti: Marie racconta nel suo diario che Franz ammirò soprattutto il grande dipinto della Pietà dei mendicanti di Guido Reni ed avanzò molte critiche alla Santa Cecilia, mentre Liszt espresse la sua profonda commozione di fronte al quadro di Raffaello in un lungo scritto pubblicato sulla Revue et Gazette Musicale de Paris (14 aprile 1839) e in diversi brani musicali, composti molto tempo dopo la visita bolognese: i due brani vocali-strumentali-corali Die heilige Cäcilia-Legende e Cantantibus organis scritti negli anni ‘70 e più volte riveduti; la trascrizione per pianoforte del brano strumentale di Charles Gounod Hymne à Sainte Cécile nel 1866.

L’aspetto “privato” della prima visita a Bologna si conferma nella tappa successiva: invece di dirigersi direttamente a Firenze i due amanti lasciano Bologna attraverso Porta S. Vitale e vanno a Ravenna, per continuare la loro vacanza artistico-letteraria in un clima di memorie, d’amori e di cospirazioni. A quel tempo la pineta di Ravenna si estendeva lungo la costa per circa quaranta chilometri senza soluzione di continuità, ed era famosa come meta di pellegrinaggio dantesco e byroniano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dante vi aveva infatti trovato la morte al ritorno dalla sua ambasceria a Venezia, mentre per Byron fu luogo di ispirazione letteraria, di cospirazione politica e di incontri amorosi con Teresa Gamba, la contessa ravennate sposata con il conte Guiccioli, da lui conosciuta a Venezia, con la quale intrattenne una relazione “clandestina” con la complicità del di lei padre, il repubblicano e carbonaro conte Ruggero Gamba.

Questa “deviazione” rispetto alla linea diretta Bologna-Firenze non stupisce se si pensa all’aura che circondava Dante presso i romantici, aura alla quale Liszt e Marie si abbandonarono completamente. Durante tutto il viaggio in Italia, nonostante l’ancora scarsa conoscenza della lingua italiana, Liszt si esercitò a leggere liriche della Vita Nova e passi della Divina Commedia da solo o insieme a Marie, che fin dall’inizio aveva vissuto la loro unione in senso poetico, sforzandosi di essere per Franz come una Beatrice che conduce Dante o come una Laura che ispira Petrarca. Nel periodo delle visite bolognesi, infatti, Liszt scrisse numerosi abbozzi di quella che diventerà la Sonata Dante e cominciò a comporre i tre Sonetti del Petrarca, Benedetto sia ’l giorno, Pace non trovo, I’ vidi in terra, più volte rimaneggiati fino gli anni ’60.

Quanto agli amori di Byron per la giovane contessa ravennate, i nostri amanti ne avevano fresco il ricordo attraverso i racconti ancora vivaci negli ambienti letterari e politici veneziani che avevano da poco frequentato.

(R.D.)

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